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Il metodo

COSA FA IL PROJECT EXECUTION MANAGER

Ogni imprenditore ha un progetto che rimane nel cassetto per diverse ragioni: carenza di tempo, risorse, personale qualificato e così via. Il compito di Brain Doing è quello di applicare il nostro metodo di execution management, elaborato e testato in diversi casi di successo, per trasformare l’idea del cliente in un prodotto o servizio che può proporre al mercato. Abbiamo adottato questo approccio anche per progetti molto complessi, con budget da svariati milioni di euro e decine di collaboratori. Questo metodo può essere paragonato a un ponte, che permette di superare gli ostacoli e passare da una sponda all’altra.

1. Fase creativa e di visualizzazione

Ci troviamo di fronte alla porta d’ingresso al ponte. Brain Doing entra in azione quando il cliente ha già per le mani un’idea, che può avere sviluppato a diversi livelli. In certi casi è poco più di uno spunto appena abbozzato; altre volte, è un progetto strutturato al quale manca soltanto la “messa a terra” rappresentata dall’execution.

Indipendentemente dal punto di maturazione a cui è arrivato il progetto, in questa fase interveniamo per fare una verifica complessiva. Il dialogo con il cliente è fondamentale per definire:

  • Scopo: cosa vuole ottenere e come intende riuscirci?
  • Tempo: qual è l’arco temporale a disposizione? È fattibile?
  • Costo: ha identificato chiaramente il budget? È disponibile?

Insieme al cliente, mettiamo sul tavolo tutto ciò che riguarda il progetto: documenti, normative, fonti di finanziamento ecc. Così facendo, ricaviamo gli elementi necessari per intervenire con cognizione di causa. In passato ci è capitato di scoprire che già esisteva una documentazione molto dettagliata, che andava semplicemente sistematizzata; senza la fase creativa e di visualizzazione, probabilmente ci saremmo trovati a produrla da zero invece di sfruttare l’esistente. Viceversa, altre volte sembrava che il progetto dovesse partire da un momento all’altro, quando invece c’era un buco nel budget.

Dalla fase creativa e di visualizzazione può anche emergere che il progetto non ha alcuna possibilità di stare in piedi. Personalmente non lo consideriamo un insuccesso, anzi: è un dato di fatto, che evita al cliente di spendere soldi, tempo ed energie in un’iniziativa destinata a fallire.

L’output di questa fase è il charter, una relazione tecnica che contiene i punti chiave su cui verrà poi sviluppato il piano di progetto.

2. Pianificazione

Una volta oltrepassata la porta d’accesso, siamo all’avvio della fase di execution. L’output da produrre in questa prima campata del ponte è la Work Breakdown Structure (WBS), una rappresentazione ad albero che parte dalle macro-attività e le suddivide in task sempre più piccole.

Perché questa struttura analitica è così preziosa? I motivi fondamentali sono due:

  1. Crea un collegamento evidente tra le richieste del cliente e le singole attività che verranno eseguite. Così, ci sarà sempre chiarezza sul perché di ogni specifica azione, anche quella apparentemente più marginale.
  2. Più una mansione è specifica, più diventa facile capire con esattezza chi dovrà occuparsene, quanto tempo richiederà e quale budget bisogna investire.

In particolare, per ogni singola foglia dell’albero provvediamo a definire, in accordo con il cliente:

    • Cosa dovrà essere fatto esattamente.
    • Chi se ne occuperà.
    • La corretta sequenza temporale da seguire.
    • Le relazioni tra un’attività e l’altra.
    • I possibili raggruppamenti tra diverse attività.
    • I fattori di rischio.

Con questa mappatura dettagliata siamo in grado di suddividere il progetto in fasi, identificando per ciascuna di esse le tappe principali (milestone), i momenti di revisione e le metriche utili per misurare gli avanzamenti.

In qualsiasi progetto bisogna creare un team. Se poi la squadra è affiatata, tutto diventa più facile e fruttuoso: le informazioni circolano naturalmente, le persone si aiutano a vicenda, i processi sono fluidi, ciascuno ha ben chiare le sue prospettive personali e quelle del progetto nel suo insieme. Di conseguenza, ognuno ottiene performance migliori, che vanno a vantaggio di tutti.

3. Esecuzione

Il progetto è stato avviato e pianificato, quindi si può passare all’azione. Durante l’execution vera e propria, la macchina si mette in moto e ogni singolo elemento del team dev’essere focalizzato al massimo sullo sviluppo e sulla consegna dei desiderata. Tutto questo nel rispetto dei costi, dei tempi e degli obiettivi che sono stati prefissati.

Questa è la fase più impegnativa, lunga e complessa, ma può essere affrontata con la giusta sicurezza se è stata preceduta da una pianificazione adeguata. Attenzione a non cadere in un equivoco, però: pianificare non significa eliminare a monte qualsiasi imprevisto. Al contrario, l’esperienza insegna che ci sarà sempre qualche piccolo dettaglio che uscirà dai binari predefiniti. Ma è proprio per questo che il nostro ponte ha due campate: la prima è la pianificazione di tutto ciò che può essere pianificato, la seconda è la gestione di tutte le difformità, che va in parallelo con la comunicazione sullo stato di avanzamento della commessa.

Il lavoro del project execution manager si snoda su quattro aree:

Attività di monitoraggio
Ci permettono di capire subito se qualche aspetto sta uscendo dai binari e quindi di intervenire tempestivamente con le azioni correttive.
Gestione dei cambiamenti
Spesso sopraggiungono richieste di modifiche ai tempi, ai costi e alla qualità del lavoro. Il nostro compito è quello di attivare subito dei piani di risposta.
Aggiornamento
Il team si mantiene compatto soltanto se tutti hanno sempre una visione chiara degli avanzamenti, cioè se sanno dove stanno andando e riescono a dare il giusto valore al proprio apporto.
Comunicazione degli avanzamenti
A tutti prima o poi è capitato di pensare che le riunioni siano una perdita di tempo; e, in effetti, in molti casi è vero! Il nostro lavoro è anche quello di fare in modo che ogni singolo momento di incontro sia utile e costruttivo.
4. Chiusura

Al termine dell’execution, rimane da attraversare soltanto la porta d’uscita del ponte. Proprio mentre il carico di incombenze diminuisce, però, le energie calano, il team tende a disperdersi e la comunicazione diventa più difficile.  Il compito di noi project execution manager è quello di tenere salde le redini del progetto, assicurandoci che non resti nemmeno un minimo dettaglio fuori posto.

Perché è così importante mantenere la concentrazione anche nella fase di chiusura? Di solito lo spieghiamo tramite un paragone. Quando si costruisce una nuova casa, la maggior parte del tempo è dedicata alla progettazione architettonica, alla struttura portante, agli impianti. Al momento della consegna delle chiavi, il proprietario dà per scontato che le fondamenta siano alla profondità giusta e che gli impianti siano a norma: sicuramente però gli salterà all’occhio una mattonella non perfettamente centrata o un lampadario troppo basso. Questi piccoli particolari sono una briciola rispetto alla complessità del progetto, ma lasciano l’amaro in bocca.

Quando siamo noi a coordinare il progetto, facciamo tutto il possibile affinché queste cose non accadano. Vogliamo presentarci al momento della consegna con la certezza di avere sempre mantenuto il controllo su ogni area e di aver affrontato tutti i problemi riscontrati, nessuno escluso. Gli ostacoli e i contrattempi non vanno nascosti sotto il tappeto, ma discussi apertamente: solo così aiutano a elaborare soluzioni valide per il futuro.

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