Un conto è un’idea di business, un conto è un progetto. Guidare questo passaggio, tutt’altro che banale, è parte del mio lavoro di project execution manager.
Come project execution manager in outsourcing, il mio compito è quello di prendere in mano un progetto (che può essere in nuce o già a buon punto), coordinare tutte le risorse coinvolte e guidare la sua realizzazione concreta. Ma prima ancora di rimboccarmi le maniche e cominciare, devo accertarmi di un aspetto fondamentale: quello che ho davanti è “già” un progetto oppure è solo una bella idea? Può sembrare una sottigliezza, ma la risposta a questa domanda fa tutta la differenza del mondo. Facciamo quindi un passo indietro, per scoprire come nasce un’idea di business e come si trasforma in un progetto.
Come nasce un’idea di business
Il termine “idea” può confondere, perché ci riporta istintivamente a un immaginario fatto di colpi di genio e lampadine che si accendono all’improvviso. In realtà, un’idea di business scaturisce da una serie di circostanze ben precise, che illustro con alcuni casi concreti.
Una domanda di mercato
Fino a un paio di decenni fa, il settore del biologico esisteva soltanto in forma embrionale. Poi si è generata una domanda da parte dei consumatori che si è diffusa a tal punto da convincere i supermercati prima a scegliere fornitori bio, poi a creare la linea bio a proprio marchio.
Un bisogno dell’organizzazione
Immaginiamo un’azienda che ha l’obiettivo strategico di entrare in un nuovo mercato: non può limitarsi a replicare pedissequamente ciò che fa già, ma dovrà elaborare una proposta che sappia conquistare un target totalmente diverso. Un esempio? Nel campionato 2019/2020 la Juventus scende in campo spesso alle 15, anche per partite di cartello come quella con la Fiorentina. Così facendo i match sono trasmessi in prima serata nei Paesi asiatici, dove il club vuole far crescere la sua base di tifosi.
Una richiesta da parte di un cliente
Qualsiasi produttore di software gestionali ha a disposizione una squadra di account che si interfacciano con i singoli clienti, per prendere in carico le loro richieste e risolvere i malfunzionamenti. Un software del genere infatti è costituito da centinaia di funzionalità interconnesse che possono essere sviluppate ad hoc sulla base delle necessità di chi lo usa quotidianamente.
Un progresso tecnologico
I droni, sempre più precisi ed economici, hanno portato alla nascita di servizi che fino a una manciata d’anni fa erano impossibili perfino da immaginare: dagli shooting con riprese aeree a bassissimo costo, fino alle consegne a domicilio totalmente automatizzate. Succederà qualcosa di molto simile con l’Intelligenza Artificiale, perché le aziende stanno già facendo a gara per sfruttare le sue potenzialità.
Un requisito di legge
Quando tra gli anni Ottanta e Novanta sono stati banditi i CFC dannosi per il buco dell’ozono, i produttori di sistemi refrigeranti e bombolette spray si sono dovuti affrettare a trovare nuove formulazioni, senza sacrifici in termini di resa, sicurezza e prezzo finale. Nel mio piccolo ho sperimentato anch’io in prima persona l’impatto di un vincolo normativo sopraggiunto all’improvviso, quando il decreto legislativo n.102 del 4 luglio 2014 ha introdotto l’obbligo di diagnosi energetica per le Grandi Imprese e le Imprese Energivore. Consapevole di quanto fosse complesso introdurre questa procedura dall’oggi al domani, ho ingegnerizzato un servizio ad hoc, subito applicato con successo da un mio grande cliente.
Un bisogno sociale
Ce ne rendiamo conto giorno dopo giorno, sfogliando il giornale o ascoltando le banali chiacchierate al bar: le persone sono sempre più consapevoli dell’impatto ambientale e sociale delle loro scelte, e sono disposte anche a spendere di più per acquistare un prodotto che rispecchia i loro valori. Le aziende non si sono lasciate sfuggire questo trend. Lo dimostra il fatto che sono sempre più i fornitori che propongono energia certificata da fonti rinnovabili.
Dall’idea al progetto
Fino a qui mi sono dilungato parecchio sulla genesi di un’idea di business, ma qualsiasi idea (anche la più brillante!) rimane astratta, finché non scatta quel “clic” che la trasforma in progetto.
Il project execution manager entra in gioco anche in questa fase. Il mio metodo di lavoro infatti comincia con una verifica accurata, che serve proprio per capire se ho di fronte una buona idea oppure un progetto maturo per l’execution. Se la risposta è negativa – se cioè l’iniziativa non ha nessuna possibilità di riuscita – lo considero comunque un successo, perché significa che ho evitato al mio cliente di imbarcarsi in un investimento di tempo, soldi ed energie che non lo porterà da nessuna parte.
Ma quando avviene il salto di qualità? Non c’è una ricetta uguale per tutti ma, volendo ricostruire uno schema di base, posso dire che l’idea è il punto di partenza da cui si propone un’iniziativa che viene poi eletta a progetto. Quel “clic”, in altre parole, è il “sì” o il “no” da parte di una persona che decide che, tra tutte le iniziative di cui prima o poi si è discusso, quella è particolarmente convincente, fattibile e conveniente sul piano economico.
Comunicare con gli stakeholder
Quello che spesso si sottovaluta è che tutti questi passaggi sono fatti di persone. Persone che hanno approcci, competenze, caratteri e parametri molto diversi tra di loro. Se la “mente” che propone il progetto lo ritiene brillante e conveniente (ci sarebbe da stupirsi del contrario!), il board magari fatica a inserirlo nella strategia aziendale e, da parte sua, il CFO teme che il budget di sviluppo appesantisca l’esposizione dell’azienda presso i finanziatori.
Da questa breve descrizione appare evidente come l’esito della trattativa sia legato solo in parte alla validità del progetto in sé, perché dipende moltissimo da come la novità viene introdotta. Se il project leader si limita a calare la sua idea dall’alto, senza ascoltare le ragioni di nessuno, rischia generare un vero e proprio braccio di ferro basato sul potere, che difficilmente porterà a qualcosa di buono.
Diventa quindi fondamentale non solo costruire basi solide per il progetto, ma anche spiegare le sue dinamiche in modo chiaro ed efficace, coinvolgendo tutti gli stakeholder e mettendosi nei loro panni per comprendere le loro obiezioni. Rieccoci a un tema che mi è molto caro, quello della comunicazione.
Formalizzare il progetto
Dare rilievo alla comunicazione e alla mediazione non significa certo dimenticare che, in ambito business, qualsiasi progetto va standardizzato nel modo più preciso possibile. Solo così, infatti, diventa possibile confrontarlo in modo obiettivo con tutti gli altri.
Quando inizio il mio incarico di project execution manager per un nuovo cliente, la prima cosa che faccio è chiedergli di riassumere le caratteristiche dell’iniziativa e i risultati del relativo studio di fattibilità tecnico / economico. Se non esiste un documento di questo tipo, ciò significa che lo devo redigere io, sulla base di un modello formale che ho perfezionato negli anni. Si tratta di uno schema che valorizza gli elementi certi e, viceversa, fa emergere tutti i “buchi” da colmare.
L’execution manager: consulente ed esecutore
In questa fase io vesto i panni dell’advisor di chi ha sviluppato l’idea di business. In pratica lo aiuto a capire se ci sono le basi solide per passare al livello successivo, dando il via al progetto e attivando tutte le risorse coinvolte. Se ci tengo tanto a sottolineare questo passaggio è perché, dopo anni di esperienza in vari settori, ho assistito a tanti passi falsi che sono costati molto all’azienda.
Il fatto è che l’imprenditore, per la sua stessa natura, è una fucina di idee; se così non fosse, avrebbe scelto tutt’altra carriera. Se però non ha al suo fianco un consulente che capta le idee di maggior valore, le sviluppa correttamente e le porta a termine, anche i suoi spunti più brillanti sono destinati a prendere polvere in un cassetto. Professionalmente mi ritengo complementare: l’imprenditore ha la creatività, io ho la perseveranza. Lui ha la visione, io ho la precisione.
A primo acchito, definirmi consulente può sembrare in contrasto con il mio ruolo di execution manager. In realtà sono due fasi distinte. Un errore molto comune infatti è quello di convocare il professionista soltanto a giochi fatti, per realizzare ciò che altri hanno già concepito nei minimi dettagli. Se però c’è qualche difetto a monte, diventa difficile accorgersene e rientrare in carreggiata.
È per questo che ogni mio intervento inizia con una fase creativa e di visualizzazione: prima verifico che il progetto sia solido, poi lo trasformo in realtà investendoci tutte le mie energie e le mie competenze, fino all’ultima goccia. La prima fase consulenziale è propedeutica al mio lavoro di execution e, addirittura, ne accorcia i tempi e ne aumenta l’efficienza. Una volta finito il mio lavoro, l’azienda è libera di prendere in carico il proprio progetto in totale autonomia, senza più doversi appoggiare a me.
Se mediti da un po’ su un’idea di business e vuoi capire se sia pronta per fare “il grande salto”, contattami.